Traduzione italiana di un volume uscito in USA nella serie “The Last Interview”, questa raccolta di dieci interviste di David Bowie promette molto bene per l’attitudine che questi ha sempre avuto in simili situazioni, risultando capace di trasformare una routine, per lo più seccante, in uno dei tanti campi in cui ha espresso la propria arte e la propria visione del mondo, come il cinema, il teatro, la pittura. Alla prova dei fatti, E l’artista parlò alla rockstar risulta un libro di cui certamente mi sento di consigliare l’acquisto ai fans, ma che non soddisfa pienamente.
L’ultima intervista, infatti, è la trascurabilissima dichiarazione rilasciata nel 2006 per promuovere la sitcom “Extras” di Ricky Gervais, andata in onda sulla BBC, dichiarazione inframezzata dalle battute e dal testo della scena in cui Bowie compone una canzoncina sarcastica sul personaggio interpretato dallo stesso Gervais dandogli del ciccione.
Una cosa vista in decine di reel sui social. La prima è una curiosità: quella rilasciata, sempre alla BBC, nel 1964 nella qualità di presidente e fondatore della Società per la prevenzione della crudeltà nei confronti degli uomini coi capelli lunghi: una specie di minidibattito surreale e goliardico in cui nessuno si prende sul serio. Carina, ma boh.
Prescindibile anche l’intervista fatta a Bowie da Imam per Bust Magazine nel 2000, quattro facciate in cui l’unica cosa curiosa, ma neanche tanto, è il disagio dell’intervistato con il femminismo, ma in quanto “-ismo”, cioè ideologia, il che, detto da uno che ha sempre detestato ogni ideologia perché considerava ognuna di esse castrante (come ricorda nell’intervista) e che trova “estremamente offensivo vedere le donne trattate come beni o appendici” e le considera (e vorrei vedere!) pari agli uomini in tutto, tranne forse nella forza fisica, non mi pare nulla di sconvolgente. Non aggiungono molto alla conoscenza del personaggio né dell’uomo Bowie le due interviste in cui il Nostro è intervistatore, una allo stilista Alexander McQueen, l’altro all’artista Tracey Emin.
Dal modo di condurre l’intervista di Bowie traspaiono la sua curiosità, la sua intelligenza, la conoscenza approfondita dell’opera degli intervistati e delle dinamiche dei due mondi in cui si muovono, perfino una abilità da intervistatore insospettata, visto che conduce gli intervistati ad approfondire un terreno e poi li spiazza con una domanda relativa a tutt’altro, probabilmente nell’intento di ottenere risposte sincere.
Ma, ovviamente, queste due interviste ci dicono molto di più su McQueen ed Emin, due personaggi che hanno avuto (McQueen è morto suicida nel 2010) e hanno grande impatto nel Regno Unito, ma che da noi sono praticamente sconosciuti (McQueen al più è noto ai fans più avvertiti di Bowie per avergli realizzato il leggendario soprabito con la Union Jack sfoggiato sulla copertina di EARTHLING). Tuttavia le restanti cinque interviste sono spettacolari e valgono bene i 19€ dell’acquisto. Quella di Patrick Salvo apparsa a marzo 1973 su “Interview” (il periodico fondato da Andy Warhol e Gerard Malanga) contiene la rivelazione, all’epoca scioccante, della lunga consuetudine dei membri della propria famiglia con la malattia mentale e il ricovero in istituti psichiatrici, in primis del fratello Terry, ma anche della madre. Bowie in essa si diffonde anche sull’apatia dei giovani britannici e sulla crescente americanizzazione del Regno Unito.
C’è poi la leggendaria intervista reciproca tra Bowie e William Burroughs, organizzata e gestita da Craig Copetas, apparsa su “Rolling Stone Magazine” il 28 febbraio 1974, in cui si toccano i temi della pianificazione artistica, della direzione politica verso cui andava il mondo, i concetti di rivoluzione e cambiamento; Burroughs trova delle somiglianze tra il testo di Eight Lines Poem e The Wasteland di T. S. Eliot; in essa è anche contenuto l’intero plot del concept di Ziggy Stardust, non realizzato completamente nell’omonimo album. Interessante anche l’intervista rilasciata a “Vox Pop” nel 1987, alla vigilia del lancio di NEVER LET ME DOWN, che approfondisce alcuni concetti dell’intero album (non uno dei più riusciti di Bowie, com’è noto) e del video di Day-In Day-Out, spiega l’avvento di Peter Frampton come chitarrista principale della band in studio e del prossimo tour “Glass Spider”. Stimolante anche quella condotta da Kurt Loder un mese dopo per “Rolling Stone Magazine” che scava nel passato di Bowie, dagli oscuri inizi delle prime band in poi, e in cui compaiono giudizi su Prince, Laurie Anderson, Terry Riley, Kraftwerk. Ma il clou secondo me, è l’intervista rilasciata a Virginia Campbell di “Bijou Magazine” nel 1992 che ha per oggetto la sua carriera cinematografica: vi sono giudizi sui film che ha interpretato, confessioni su ciò che Bowie cercava nel cinema e molto altro su questo lato della sua carriera che di solito rimane in ombra, seppur comprensibilmente. Ottima la traduzione di Alice Guareschi, ma devo segnalare degli errori nelle date, a volte presenti negli originali, a volte aggiunte dalla traduttrice, e una generale assenza di note che aiuterebbero il lettore italiano a capire i riferimenti a personaggi noti solo nella cultura popolare anglosassone. Nonostante tutto, come già detto, il libro vale l’acquisto, che raccomando ai fans di Bowie
Articolo del
10/10/2025 -
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