Piero Scaruffi non è un critico musicale: è un’icona. Ha fatto di se stesso il simbolo di un particolare approccio con la musica, un idolo, venerabile o polemico a seconda dei casi, come prima di lui da noi forse solo Bertoncelli. È autore di un mastodontico sito internet (www.scaruffi.com) in cui chiunque si è imbattuto cercando notizie su questo o quel gruppo. Tra 89 e 96 pubblicò una monumentale storia del rock per Arcana: ora ne esce, autoprodotta, la versione aggiornata. Libro da avere, va detto subito (si può ordinarlo su www.scaruffi.com/history/prenota.html a 18 €), per la sua sterminata completezza e per le sue valutazioni, a volte illuminanti, a volte discutibili, sempre stimolanti. Tutte discendono dalle premesse illustrate nella prefazione. Scaruffi sottolinea (pochi lo fanno) che questa è UNA e non LA storia del rock. Perché il suo è un particolarissimo punto di vista: “Mi sono formato con musica classica, scienza e letteratura, non con la musica rock. […] Gli idoli della mia adolescenza sono stati Shostakovic e Coltrane… ma nessun musicista rock”. Perciò “molto spesso sono stato all’oscuro di quanti dischi un artista vendesse, […] di cosa si ascoltasse a Milano o Boston”. Voi direte: chissà che palle. E invece no. Scaruffi sorprende, così simile a un arrabbiato fanzinaro che la sua storia del rock è soprattutto una storia del rock alternativo. Pregi e difetti? Eccoli. Cose cattive. 1. Scaruffi non capisce nulla di glam e di pop. Valuta pochissimo Beatles e Bowie. Appena può leva un artista dal glam come se gli desse fastidio comprenderlo in esso (catalogare i Roxy Music nel prog e i Queen nell’hard rock è ridicolo). Per lui il pop è momento reazionario del rock e non il suo momento apollineo, in cui linee di forza contrastanti e divergenti trovano un miracoloso, fragile e momentaneo equilibrio in bilico sul disastro del mondo. 2. Idealizza la classe operaia (“proletario” è aggettivo positivo, così come “borghese” è negativo, nel suo linguaggio), ma dimentica che ne sono idoli Bon Jovi e Vasco, non Iggy Pop, suo prodotto. Cose buone e insieme cattive. 1. Nonostante parta da una prospettiva esclusivamente musicale (l’arte per l’arte, quasi) tenta comunque un accumulo dei punti di vista (sociologia, politica, massmediologia, generi, scuole locali, ecc.), a volte produttivo, a volte incoerente (Madonna ha il doppio delle righe di Bowie, che però Scaruffi considera più importante). 2. Scaruffi valuta più la composizione che il suono (“produzione di studio” è la bolla negativa che liquida “Pet sounds” e “Sgt. Pepper”), ma poi enfatizza rumorismo ed elettronica, contraddicendosi. 3. Assegna un punteggio agli artisti (le centinaia per gli album da 9, le decine per quelli da 8 e le unità per i 7), segnalandone così l’importanza. Ma poi a volte di un artista da 2 album buoni si citano 5 dischi e non sempre si capisce quali siano i migliori. È pure opinabile che gli Slint (che prendono 101, cioè due buoni album) siano più importanti di Neil Young (29, cioè 11 buoni album in 40 anni di carriera). Inoltre questo metro di valutazione danneggia artisti come Chuck Berry che hanno prodotto il meglio prima dell’affermazione dell’album (e lo ammette Scaruffi stesso: ma, e le raccolte?), e appare un po’ obsoleto oggi, quando mp3 e file sharing lo stanno uccidendo. 4. Valuta le scuole non anglosassoni, ma è sostanzialmente Usa-centrico. Cose buone. 1. C’è tutto. 2. L’inquadramento degli anni 50 e 60 è a dir poco eccellente (Beatles e Beach boys a parte). 3. Più ci si avvicina ad oggi, più il libro è approfondito. Ottimo viatico per orientarsi nella selva di generi e proposte odierne. 4. La definizione estremamente stimolante di rock (“un incontro tra musica d’avanguardia e pop”) permette di trovarne le premesse fino a inizio 900. 5. È una miniera di notizie: sapevate che il lo-fi nasce in Nuova Zelanda a fine 70, per dirne una? 6. Le valutazioni degli italiani: gli unici a dimensione internazionale sono Banco, Area, De André, Battiato, Paolo Conte, Confusional Quartet, Cccp, Raw Power, Starfuckers, Uzeda, Giardini di Mirò, Zu, Jennifer Gentle.
Se ci pensate, non ha tutti i torti. Libro da avere. Ordinare, comprare, su!
Articolo del
18/07/2005 -
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