Reduce dall’ottimo “Eiar Eiar Alalà” sulle canzoni del Ventennio, scritto in coppia con Franco Zanetti, Federico Pistone, firma del Corriere della Sera, continua con lo stesso format, a cui è uso da anni, avendo dedicato analoghi volumi a Fabrizio De André, Paolo Conte, Francesco De Gregori, Lucio Dalla e Francesco Guccini.
Il risultato è più che buono: attraverso il racconto di 44 canzoni Pistone delinea un ritratto di Mina (l’oggetto del volume) più vivo e autentico di tanti altri saggi o biografie scritti su di lei. Come è prevedibile, 37 canzoni appartengono al periodo d’oro, quello che percorre i 20 anni dall’esordio discografico del 1958 all’addio alle scene del 1978, periodo dopo il quale, a differenza di Battisti cui viene spesso accostata per la scelta di scomparire dai riflettori, il repertorio di Mina non ha più conosciuto quell’essenzialità, quell’irrinunciabilità, quell’influenza profonda sull’andamento della musica italiana che le fu proprio un tempo.
Ogni scheda del volume di Pistone ricostruisce un piccolo mondo, un microcosmo che è il contesto in cui si inserisce la canzone in oggetto, un universo perduto che non ritornerà mai più e che è un bell’esercizio rievocare. Per la prima canzone, “Malatia”, si parte dal film “La diga sul Pacifico”, kolossal girato in Thailandia dal francese René Clément nel 1957 con Silvana Mangano ed Anthony Perkins, nella cui colonna sonora è inserita One Kiss Away from Heaven, cantata da Tony Bennett, la versione americana di Tu si’ na malatia del napoletano Armando Romeo. Il successo è mondiale: in Italia Peppino di Capri ne incide la versione originale e scala le classifiche. L’anno dopo, alla Bussola di Forte dei Marmi, “una torma di ragazzini scatenati” invade il palco dopo il concerto di Marino Barreto e chiama un’apparentemente timida amica diciottenne a esibirsi: è Mina.
La cosa le piace tanto che una settimana dopo è sostiene con successo un provino a Cremona. A settembre già calca i palchi del piacentino, dove colpisce il re e la regina dello swing italiano, Natalino Otto e Flo Sandon. David Matalon, impresario e discografico, decide di farla esordire su disco: sebbene lei sia dedita al rock’n’roll, Matalon le affida Malatia di Romeo, che lei dipinge di colori e sfumature non presenti né nella versione di Bennett, né in quella di Di Capri. Il 45 giri non spaccherà le classifiche, ma si rivelerà un long seller e venderà nel tempo oltre centomila copie, diventando un classico della cantante, che la esporterà anche in Francia.
È questo il riassunto di otto pagine del volume: essendo un riassunto, sono molte le omissioni. Ma ciò basta - spero - a dare un’idea della ricchezza del saggio, sempre fresco e spumeggiante. Certo, ci sono anche delle imperfezioni: come quando Pistone si fa prendere la mano dal voler indicare collaborazioni o raffronti eccellenti, senza badare alle cronologie.
Così di Be Bop A Lula scrive che la versione di Mina “si misura” con quelle “di mostri sacri come Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Everly Brothers, Beatles, Tom Jones, Eric Burdon”.
Sarà sicuramente un’espressione involuta che fa capire al lettore quel che Pistone non voleva scrivere, ma Beatles, Tom Jones, Eric Burdon a dicembre del 1958 dovevano ancora inziare le loro carriere (per la verità i Beatles esistevano già, ma si chiamavano ancora Quarrymen e non avevano inciso nulla).
Altro momento involontariamente dubbio è quando si scrive che il fratello di Mina fu “anche lui cantante almeno fino al 1965 quando a 22 anni muore in un incidente stradale”. Scritta così, si affaccia la possibilità che il povero Alfredo abbia continuato a esibirsi anche dopo la morte, cosa che escluderei anche in un’ottica da credente.
Tuttavia gli svarioni come questi sono pochi e risultano quindi bazzecole, quisquilie, pinzillacchere: il volume è piacevole e restituisce un bel ritratto di Mina, perfino nelle ultime pagine, dedicate agli ultimi 40 anni della sua carriera, quelli prescindibili, al netto degli innegabili successi. Consigliato
Articolo del
22/06/2025 -
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