Serata estenuante, quella delle cover. La cosa bella è che, lungaggini (soprattutto benignesche) a parte, molte cover funzionano pure, addirittura, in qualche caso, anche meglio dell’originale. Poi, come per le altre sere, arriva la classifica che distrugge la qualsiasi, soprattutto il buon gusto. Pazienza, un vero peccato. Anche perché fin quando a far cagate era la giuria demoscopia si poteva, volendo, chiudere un occhio (nonostante certe cose gridino vendetta a Dio). Ma quando sono i voti dell’orchestra a combinar casini, non si può che essere ipercritici. Ed apostrofarli come vera nota stonata della serata mi sembra abbastanza offensivo.
Ad ogni modo, queste saranno le ultime pagelle (perdonateci, ma Annagrazia ed io siamo praticamente in hangover senza aver bevuto, chè, mentre voi dormivate, noi ci siamo dovuti sorbire monologhi tanto interminabili quanto inutili, gag che perdono il confronto addirittura con Pippo Franco, e dilatazioni temporali della gara da sbattersi la testa al muro). Capisco che voi cucciolotti (dududù dadadà) che ci avete letto in questi giorni vi sentiate più soli della bevitrice di assenzio di Degas, ma non disperate: torneremo domenica, con un bel pagellone “finale” del Festival, fra top e flop.
Detto questo, buona lettura della nostra ultima pagella (sì, rigiro il coltello nella piaga perché sono uno stronzo sadico).
Michele Zarrillo con Fausto Leali, “Deborah” (1968) AS: due vecchi leoni. Ruggenti? Più o meno. Zarrillo decide di riproporre il brano, invitando l’interprete originario. Bel ritmo e grande dinamicità vocale. I due si divertono. Leali, nonostante i suoi 75 anni, ha ancora una voce potentissima. Un po’ troppe svisate per i miei gusti. Voto: 6.5. GP: Non è un mistero che io col blues vada a nozze. E per questo motivo le scale vocali, soprattutto di Zarrillo, mi hanno davvero deliziato. Accoppiata vocale assolutamente vincente, Leali tira fuori il solito, spettacolare, graffiato ed una presenza scenica sanguigna. Bella roba. Voto 7.5.
Junior Cally con i Viito, “Vado al massimo” (1982) AS: ritmi raggaeggianti. Il timbro del cantante dei Viito, Vito Dell’Erba, ricorda quello del Blasco, ma è fuori tempo e poco originale. Cally rappa e lo fa bene. Il contenuto delle barre resta politico, lui risulta preciso e convincente. Voto: 6. GP: Il primo della mia serie di voti disgiunti. I Viito non ci sono proprio, si perdono nei meandri dello scimmiottamento, e gli va abbastanza male, oltre ad essere entrati completamente fuori tempo. Cally continua ad essere sempre più convincente, soprattutto nella scrittura delle barre. Ovviamente nulla di trascendentale, ma quantomeno c’è una idea di fondo, con qualche parvenza di contenuto. Voto Cally 7, voto Viito 3, voto esibizione 5.5.
Marco Masini con Arisa, “Vacanze romane” (1983) AS: una delle più belle canzoni del Festival, secondo il mio parere. Bello l’inizio al piano, meno la parte dell’arrangiamento un po’ troppo “pop”. Arisa ha un grande controllo vocale e un’estensione invidiabile, anche se non raggiunge l’interpretazione di Antonella Ruggiero. Masini è sicuro, presente, preciso. Bella la sintonia tra i due. Voto: 7. GP: E bravo Masini. La sorpresa della serata. Non mi aspettavo che un pezzo come “Vacanze Romane” potesse stargli così bene, vocalmente ha tenuto alla grande. Arisa ha spinto un pelo troppo al primo ingresso, poi vocalmente ineccepibile, come sempre. Strana coppia assolutamente riuscita. Voto 7.5.
Riki con Ana Mena, “L’edera” (1958) AS: Rikisi sforza, ma il risultato non cambia. Non sa cantare. Il pezzo è uno dei brani iconici della storia di Sanremo, abbondantemente rivisitato. Il risultato è molto orecchiabile, ma avrei scelto un arrangiamento meno banale ed evitato la parte rappata. Inutili gli svisamenti di Ana Mena, che avrebbe potuto metterci un po’ più d’intensità. Voto: 4. GP: Dai, seriamente? Stonato e vecchio, nemmeno la modernizzazione reggaeggiante mi colpisce. Voto 0.
Raphael Gualazzi con Simona Molinari, “E se domani” (1964) AS: l’artista in gara dà spazio alla sua anima più intima e delicata. I due sono accomunati dagli stessi riferimenti e generi musicali (blues, swing, jazz), sono amici e si percepisce. Complici, intensi, elegantissimi, Raphael e Simona si guardano per tutto il tempo, trasportando l’Ariston e noi tutti in un’altra epoca, con estrema dolcezza. Voto: 9.
GP: Signori, che dire? Nella loro “E se domani” c’è tutto il significato della frase “fare musica”. Un pezzo di storia del Festival nello specifico, e della musica in generale, rivestito di un elegantissimo abito jazz. Gualazzi e Molinari tirano fuori due prove vocali perfette, oltre ad una intesa e ad una presenza scenica che gli permette di riempire il palco pur stando fermi. Voto 8.5.
Anastasio con la PFM, “Spalle al muro” (1991) AS: un brano generazionale. E generazionale è anche l’inedito duetto. Anastasio è spettacolare, canta e rappa molto bene, scrive barre che si sposano perfettamente con il pezzo, ma, al tempo stesso, sono personali e attuali. Franz Di Cioccio della PFM è in grande forma, è un randagio (per citare la scritta sulla sua maglietta), suona magistralmente la batteria, canta solo poche parole, aggiungendo intensità all’esibizione. Sono rock e Anastasio si commuove anche. Voto: 8. GP: Quando due mondi così anagraficamente lontani si incontrano, significa che c’è davvero l’esigenza di comunicare qualcosa. Di Cioccio è Di Cioccio, non sembra invecchiato di un pelo, per carica e presenza scenica. Le barre di Anastasio sono, come sempre, assolutamente incendiarie e profonde, mentre l’arrangiamento della PFM fa diventare il tutto quasi apocalittico. Chapeau. Voto 8.5.
Levante con Francesca Michielin e Maria Antonietta, “Si può dare di più” (1987) AS: tre donne diverse, ma unite. Perfettamente in sincrono. La prima parte del brano è molto delicata, la seconda più decisa. Claudia tira fuori il graffiato e fa emergere la veracità siciliana. Francesca è cresciuta, è brava e precisa. Maria Antonietta è sofisticata, nell’abbigliamento e nell’esibizione. Le tre ragazze hanno puntato sull’emozione, senza rinunciare alla grinta. Leggiadre. Voto: 8.5. GP: Molto interessante l’intreccio vocale, decisamente bello il vestito musicale di cui è stato rivestito il brano, molto rarefatto e fluttuante. Peccato solo che perda un po’ della carica originaria e che loro tre siano troppo statiche sul palco. Si poteva dare di più, effettivamente. Voto 7-.
Alberto Urso con Ornella Vanoni, “La voce del silenzio” (1968) AS: l’ Ornella nazionale è, nel complesso, in forma, anche se andare a tempo, per lei, è un optional. Ha una grande presenza scenica, intrattiene il pubblico per qualche secondo dopo l’esibizione, con un mini-siparietto. Alberto è vocalmente impeccabile, un grande tenore, ma resta troppo classico anche quando canta il “pop”. La suddivisione della canzone subisce dei cambiamenti in corso d’opera, la scelta è troppo scontata. Voto: 5. GP: Altro voto disgiunto. Ornella va fuori tempo, rischia varie volte di non arrivare a prendere le note e ci fa temere varie volte che possa aver dimenticato il testo. Ma riempie il palco, tirando fuori una interpretazione mostruosa di un capolavoro senza tempo. Alberto è sicuramente più preciso, ma c’ha anche più di mezzo secolo in meno addosso. Ed in quanto ad interpretazione, beh… il mio attaccapanni sarebbe capace di far provare più emozioni. Voto Ornella 9, voto Alberto 4, voto totale 6-.
Elodie con Aeham Ahmad, “Adesso tu” (1986) AS: intenso l’arrangiamento, che ho apprezzato rispetto all’originale, belli i violini e il pianoforte che danno ampio respiro al pezzo. Elodie è emozionata, ma ferma, precisa, affascinante, perfetta anche nel look. Con l’intervento vocale finale del maestro, il brano cambia pelle. Voto: 7. GP: La nuova livrea del pezzo di Ramazzotti è molto intima e convincente, interpretata in punta di piedi e con molta classe. Ottima prova vocale di Elodie, l’intervento finale di Ahmad sposta leggermente verso Oriente il pezzo. E ci sta. Voto 7-.
Rancore con Dardust e La Rappresentante di Lista, “Luce (Tramonti a Nord-Est)”, (2001) AS: gran bella esibizione, la più potente della serata. Musicalmente, il brano più convincente e contaminato. Rancore scrive delle barre spettacolari: “l’idea di questa perfezione è dittatura cosmica”, per citare un verso. Dario Faini si conferma uno dei più interessanti musicisti contemporanei, stravolge l’arrangiamento originale, conservando la sua riconoscibilità. Tenere il confronto con Elisa non è facile, Veronica Lucchesi vocalmente ci riesce quasi, ma non è precisissima e, a volte, farfuglia leggermente. È teatrale ed esibisce interessanti contrasti anche nell’abbigliamento. finora, tutti gli strumenti si alternano sapientemente. Voto: 8.5. GP: Qua il livello è davvero altissimo. Spettacolare l’arrangiamento degli archi, tocco di classe il synth(ar) con cui Dardust gioca per quasi tutto il pezzo. Rancore è atomico, nient’altro da dire, sta sul palco come pochi. Mentre l’intervento vocale di Veronica Lucchesi è praticamente perfetto, e lei, al momento, rimane una delle poche a potersi permettere di cantare Elisa. Esplosivi. Voto 9.5.
Pinguini Tattici Nucleari, “Papaveri e papere”, “Nessuno mi può giudicare”, “Gianna”, “Sarà perché ti amo”, “Una musica può fare”, “Salirò”, “Sono solo parole”, “Rolls Royce” (1952, 1966, 1978, 1981, 1999, 2002, 2012, 2019) AS:colorati (hanno scelto un colore diverso per ogni decennio del Festival), allegri, versatili. L’innovazione non sta certo negli arrangiamenti, ma nel medley dei brani scelti. Cantano bene, dando una grande prova di fiato, scherzano con l’orchestra, con Cristiano Ronaldo, al quale Riccardo Zanotti porta un ramo di mimosa. Potevano fare di più. Voto: 7.5. GP: Me li aspettavo più matti, alla Elio e le Storie Tese. Invece sono stati, musicalmente, un po’ democristiani. Sulla presenza scenica nulla da dire, idem sulle canzoni scelte e sull’idea del medley. Divertono e si divertono. Voto 7.
Enrico Nigiotti con Simone Cristicchi, “Ti regalerò una rosa” (2007) AS: coppia equilibrata. Entrambi sono concentrati sul pezzo, intensi e dolci allo stesso tempo. Simone Cristicchi lascia molto spazio a Nigiotti che canta bene. Il vincitore di Sanremo 2007, uno dei più grandi cantautori contemporanei è più teatrale e più elegante. Ero poco più di una bambina quando questa canzone fu portata al Festival, non capivo del tutto il significato, ma mi colpì. E i brividi che ho sentito quando Simone ha terminato l’esibizione salendo sulla scala, di spalle, sono gli stessi di 13 anni fa. Voto: 8.5. GP: Finalmente Nigiotti. Spero che questo duetto possa servire a fargli capire definitivamente cosa fare. Perché le qualità per farlo ce le ha tutte, sia come penna che come bravura interpretativa. Su Cristicchi non ho nulla da dire. Quando qualcuno riesce a farti emozionare in ogni cosa che fa, cosa gli si vuole dire? Enorme. Voto 7.5.
Giordana Angi con il Solis String Quartet, “La nevicata del ‘56” (1990) AS: l’atmosfera c’è, i musicisti anche. Giordana però sceglie un pezzo difficile. Mi sembra un po’ lamentosa e piatta, soprattutto nella prima parte. Fa sentire la sua canna nel finale, ma non basta. Le hanno detto più volte che ricorda, minimamente, l’immensa Mia Martini, ma, quando sceglie di reinterpretarla, il confronto non regge. Voto: 5. GP: Come distruggere un capolavoro. Mimì era una sola, e rimarrà inimitabile. Se lo metta in testa Giordana Angi. La scelta piacionamente emotiva del brano si è rivelata un suicidio, da ogni punto di vista. Salvo solo i Solis String Quartet, un po’ fagocitati dall’orchestra, ma sempre delicatissimi e fluttuanti. Voto Giordana 2, Voto Solis String Quartet 7, voto totale 4.
Le Vibrazioni con i Canova, “Un’emozione da poco” (1978) AS: queste sono Le Vibrazioni che mi piacciono, rock dalle prime note, grintosi ed energici. Sàrcina è in forma, canta in modo potente. La canzone l’avrebbero portata a casa anche da soli, ma è sempre bello vedere due band suonare. Voto: 8. GS: Badaboom! Da scompigliare i capelli. Arrangiamento spettacolare, il controcanto di Sàrcina praticamente perfetto. Tenuta scenica da undici. Voto 7.5.
Diodato con Nina Zilli, “24mila baci” (1961) AS: l’esibizione più caratteristica della serata. L’ arrangiamento è molto particolar, la coppia stilosa ( Nina Zilli risulta a più fashion del Festival, finora). Le cose s’invertono e a essere preso in braccio, è proprio Diodato, che canta molto meglio rispetto a martedì. I due mettono anche in scena un mini-show. Una chicca. Voto: 8.5. GP: Pezzo di arti performative, fra coreografie ed interpretazione. Fra Diodato e Nina Zilli il feeling è totale, e le venature soul di lei si sposano perfettamente con la delicatezza e la pulizia di lui. Ottimo lavoro anche con l’arrangiamento. Voto 8.
Tosca con Silvia Pérez Cruz, “Piazza Grande” (1972) AS: delicate, complici, solari. Il confronto con Lucio Dalla, in questo caso, regge proprio perché l’arrangiamento è stato stravolto. I ritmi spagnoli possono piacere o meno, ma Silvia Pérez Cruz è una delle artiste più conosciute in Spagna, che mischia, tra gli altri, il flamenco e il fado. Insieme, le due donne, coinvolgono, facendo battere le mani a tempo a quasi tutto l’Ariston. L’orchestra, almeno la prima, posizione, la sceglie bene. Voto: 9.5. GP: Quando qualcosa è perfetta non c’è bisogno di aggiungere altro, parla direttamente per tutti ed a tutti. Voto 10.
Rita Pavone con Amedeo Minghi, “1950”, (1983) AS: una Rita Pavone decisamente più in forma. È grintosa e intensa, ma resta troppo “urlatrice”. Nonostante i tentativi di coinvolgerlo, Minghi resta impalato, freddo, si mangia le parole. Arrangiamento equilibrato. Voto: 6, vista l’età e l’orario di esibizione. GP: Il compitino, e nulla più. Anche con qualche pecca, fra qualche imperfezione della Pavone ed un Minghi che biascica e risulta davvero incomprensibile. Come tutta l’esibizione, fra l’altro. Peccato, perché il pezzo è anche un gran bel pezzo. Voto 5.
Achille Lauro con Annalisa, “Gli uomini non cambiano” (1992) AS: Achille Lauro fa rivivere, nel look, Ziggy Stardust, canta sottovoce. La vocalità non è il suo forte, si sa, ma è comunque spettacolare. Uno dei capolavori della musica italiana di tutti tempi richiede una voce importante, a questo ci pensa Annalisa: cresciuta, è personale nell’interpretazione e potente e precisa nel canto. I due stanno sul palco facendo davvero poco (Lauro sta un passo indietro ad Annalisa, come hanno fatto notare, ogni riferimento è puramente casuale), ma hanno classe e inscenano quasi una pièce teatrale, sono eleganti, intensi. Voto: 8.5. GP: In punta di piedi, toccanti e senza nessun tentativo di imitazione. Va benissimo così. Credo siano doverose delle scuse ad Achille Lauro. Voto 9.
Bugo e Morgan, “Canzone per te” (1968) AS: rendono omaggio alla canzone italiana. Marco, vestito da direttore d’orchestra, dimostra le sue grandi doti da pianista e, sulla scia della polemica, l’orchestra, riesce a dirigerla davvero. Cristian canta per sé. Più volte e più volte i due non riescono a sincronizzarsi. L’orchestra però si vendica, piazzandoli, ingiustamente, all’ultimo posto; è come se non avesse accettato il fatto che, nella serata in cui ha il potere di giudicare, Morgan si mette ad arbitrarla. Voto: 7. GP: Che c’erano dei problemi a monte lo sapevamo. Che avessero provato poco lo sapevamo e si è visto. Si poteva e si doveva fare di più. L’ho detto, avevo dato un 8 risicato, anche alla luce di tutto quello che c’era dietro. Poi la rappresaglia vergognosa dell’orchestra mi ha fatto capire che anche chi dovrebbe non è imparziale. Ed allora non lo sono nemmeno io. I tre quarti del cast del Festival dovrebbero solo inchinarsi a Morgan, a livello compositivo, ed a Bugo per quello che rappresenta per una certa scena musicale. E vederli dietro ad Elettra Lamborghini ed a Riki è oltraggioso per chi con la musica ci lavora e per la musica in generale. Voto per partito preso, 10.
Irene Grandi con Bobo Rondelli, “La musica è finita” (1967) AS: inizio teatrale. La voce di Bobo Rondelli dovrebbe essere patrimonio dell’umanità. Riesce anche a riempire il palco, senza offuscare la partner. Irene Grandi, da parte sua, è in grande forma: precisa e profonda. L’arrangiamento è articolato. Intensi, senza retorica Voto: 8.
GP: Bobo Rondelli a Sanremo. Ma che vogliamo di più? Uno dei cantautori più raffinati del panorama italiano duetta con la grinta di Irene Grandi. Ed insieme tirano fuori un mezzo capolavoro, con un intreccio vocale meraviglioso. Voto 8.5.
Piero Pelù, “Cuore matto” (1967) AS: rock, rock e rock. Piero Pelù è scatenato, duetta, in video, con un giovanissimo Little Tony, scende tra il pubblico e smuove l’Ariston. Risulta molto più energico e convincente rispetto a quando canta il brano in gara. Voto: 7.5. GP: Piero Pelù lì dentro potrebbe dare lezioni di portamento scenico a quasi tutti. Un uragano che si abbatte sull’Ariston e scompiglia il pubblico. D’altro canto, quel pezzo è un po’ il suo habitat naturale. Il duetto virtuale con Little Tony è stata una, diciamo così, sentita paraculata, ecco. Voto 7.
Paolo Jannacci con Francesco Mandelli e Daniele Moretto, “Se me lo dicevi prima” (1989) AS: una performance teatrale, che ricorda il teatro-canzone di Giorgio Gaber, citato nel brano. Paolo emerge in tutta la sua artisticità: canta, s’incazza, suona, duetta con un Mandelli bravo a tenere il palco e a recitare. Sono accompagnati da un grande trombettista. L’arrangiamento, molto blues, è riuscito, cosi come l’omaggio a Enzo Jannacci e la scelta di parlare della tossicodipendenza in modo intelligente. Voto: 9. GP: Ci ho lasciato un pezzettino di cuore e qualche lacrima su quell’esibizione. Che artista enorme che era, Enzo. E che artista enorme che è Paolo. Ad onor del vero supportato da un ottimo Mandelli. Emozionanti. Voto 9.
Elettra Lamborghini con Myss Keta, “Non succederà più” (1982) AS: speriamo che non succeda più che Elettra salga sul palco dell’Ariston. Avesse preso una nota, continuo a non capire nulla di quello che dice. Provinciale e banale nell’interpretazione. Molto più intonata Myss Keta, dalla quale mi sarei aspettata meno sobrietà. Voto: 5, per la bionda della coppia. GP: Mio Dio. Stonate (MYSS KETA di meno, ma ha anche cantato di meno), imbarazzanti e fuori luogo. Neanche un po’ di erotismo e provocazione. (per il “meno” sempre il solito discorso).
Francesco Gabbani, “L’italiano” (1983) AS: nulla di nuovo. Gabbani si esibisce per ultimo e, forse per svegliare l’Ariston, si presenta vestito da astronauta. Omaggia l’Italia e ci crede veramente. È super preciso, efficace. Voto: 6.5. GP: Talmente paraculo che purtroppo andrà a vincere lui. Gigionissimo nel vestito da astronauta. Peccato che al pezzo non aggiunga praticamente nulla. Il compitino e nulla più. Voto 6-
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07/02/2020 -
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