Si sa che, per nostra italianità, siamo portati ad essere, all’occorrenza, allenatori della nazionale, piuttosto che ingegneri o medici o fini economisti e notisti politici. Ovviamente, per non farci mancare nulla, nella settimana del Festival di Sanremo, ci troviamo in compagnia di circa sessanta milioni di critici musicali, fra chi commenta aspramente, chi sdegnosamente, chi inutilmente, chi fa il tecnico di turno. E chi dice, sottintendendo una superiorità intellettuale che propriamente si definisce testacazzagine, di non guardarlo nemmeno, il Festival. Fatto sta che poi prende il 52% di share. E va a finire come quando, nelle indagini Doxa, tutti dicono che Salvini fa schifo, ma poi arriva al 30%.
Detto questo, siccome fra i sessanta milioni di critici musicali ce n’è anche qualcuno che lo fa per mestiere, beh… mi sembra giusto sorbirvi la nostra solfa. La mia e quella di Annagrazia Schiavone, che si è prestata al giochino delle pagelle, e che, per questo, ringrazio. Ebbene sì, vi tedieremo con le nostre impressioni (a volte spietate e sanguinarie) per un po’ di Festival. E adesso non voglio dire che avremo sempre ragione in quello che scriveremo, piuttosto che avremo raramente torto, ecco. Inutile dire che i miei voti sono quelli di GP e quelli di Annagrazia quelli di AS.
Dopo questo prologo, possiamo cominciare.
Eugenio in Via Di Gioia- “Tsunami” GP: 8- Tengono il palco in modo assolutamente coinvolgente, la canzone ha una ritmica interessantissima, fresca e ballabile. Piccole lacune un testo un po’ zoppicante e degli interventi orchestrali non sempre “centrati”. Ma erano fra le cose migliori dei giovani. AS: 6.5- Un quartetto torinese all’apparenza allegro e scanzonato, che si presenta con la tastiera di un pc al posto della batteria e un look da pseudo-carcerati. Ritmo ballerino, cosi come il frontman Eugenio Cesaro, che si muove in maniera quasi isterica, neanche fosse tarantolato. Nella loro Tsunami parlano di incomunicabilità, social media, finzione e solitudine, con la speranza di poter tornare e rischiare ed essere liberi.
Tecla Insolia- “8 Marzo” GP: 5- Normalissimo pezzo sanremese, discretamente banale. Lei va un attimo fuori tono con la voce, ma si riprende. Onestamente nulla di che… AS: 4.5- Il presupposto di voler trattare il tema del femminicidio e di omaggiare le donne è nobile. Peccato che il testo, scritto da due tra gli autori di molti successi contemporanei (Piero Romitelli e Rory Di Benedetto), sia pieno di metafore un po’ troppo smielate. Tecla ha 16 anni, è la classica ex bambina prodigio che ha già partecipato a diversi talent. Troppo giovane e inesperta per poter affrontare questo argomento. Sembra di sentir cantare una principessa Disney, su una base piatta e con un look da ragazza della porta accanto.
Fadi- “Due Noi” GP: 6.5- Voce riconoscibilissima, scura e potente nell’inciso. Pezzo tutto sommato gradevole, ma di sicuro non indimenticabile, abbastanza piatto e prevedibile nelle dinamiche. Conoscendolo, si poteva fare un po’ meglio. AS: 5.5- Timbro riconoscibile, a tratti black, e ballad da falò sulla spiaggia, ma intensa. Thomas Fadimiluyi è delicato, modesto (anche nel look) e sensibile. Il testo racconta una storia d’amore, accennando al cantautorato, con un filo di malinconia. Non abbastanza per lasciare il segno.
Leo Gassman- “Vai bene così” GP: 5- Johnny Clegg perdonalo perché non sa quello che fa. Voce discretamente potente e pulita, ma già sentita. Così come è già sentito il pezzo, classico ai limiti dello stopposo. Ed infatti vincerà. AS: 6- Nonostante la giovane età e l’evidente emozione, Leo Gassman, complici i geni familiari, tiene il palco, è intenso al punto giusto. Il brano invita ad accettarsi per come si è e ad andare avanti. Niente di eccezionale, troppo classico, neanche il look contemporaneo riesce a svecchiarlo. Bel timbro che cela un’esecuzione non precisissima
Irene Grandi- “Finalmente Io” GP: 6.5- Basso favolosamente martellante, sviolinate stupende. Lei grintosissima, come al solito, ed abbastanza pulita. E’ in forma, si diverte e si vede. Nota dolente: il testo. Prendete “Io sono bella” di Emma (scritto sempre da Vasco), e pare di ascoltare gli stessi concetti. Una grande iniezione di autostima, ok, ma poi? AS: 7- Apre la settantesima edizione del Festival, la cantante probabilmente più equilibrata della serata. Il testo è un inno alla libertà e all’indipendenza femminile, ma anche una dichiarazione personale di soddisfazione. Attitude diretta e sfacciata, confermata dallo scollo della tuta indossata che, in un flash, mi ricorda la camicetta di Madonna sulla copertina dell’album Ray of light. Chitarre, violini e batteria delineano una trama rock e verace, come l’interprete che, però, a tratti sembra un po’ impacciata (solidarietà femminile per aver dovuto scendere le scale, che erano state abolite nelle ultime edizioni, almeno per gli artisti in gara). La firma di Vasco Rossi (troppo vicina alle sue ultime produzioni) e la musica di Gaetano Curreri si fanno sentire prepotentemente.
Marco Masini- “Il Confronto” GP: 6-- - Molto classica nell’arrangiamento, ha un bel ritornello, molto potente ed orecchiabile. Il testo è interessante ed introspettivo, e danza su una serie di bilanci, riuscendo ad essere empatico perché emotivamente comprensibile a tutti. Masini, come al solito, dà tutto sé stesso nell’interpretare. Benino, tiepida approvazione. AS: 5.5- Un monologo caratterizzato da autocritica, autocompiacimento, ma soprattutto, accettazione. Masini ripercorre le tappe della sua vita da uomo maturo, con un testo scritto dalla coppia Camba-Coro, autrice, negli ultimi dieci anni, di pezzi pop riusciti. È un artista consapevole, controlla la voce e la sua presenza sul palco, è elegante, come il suo abbigliamento. Niente di eclatante.
Rita Pavone- “Niente (Resilienza 74)” GP: 5- Rita Pavone contribuisce all’abuso del termine “resilienza”, ormai perennemente decontestualizzato. A parte questo, urlacci ed inglesismi random. Ha il merito di movimentare la serata con una grande scarica di grinta ed una presenza scenica e vocale potente, ma il brano è decisamente troppo incalzante, ed il rischio debito d’ossigeno si è manifestato più volte. A completare l’opera ci ha pensato un’entrata in anticipo sul cantato. Insomma… AS: 5.5- Torna al Festival di Sanremo dopo 48 anni, ma di anni ne ha 74, così come nel 1974 è nato suo figlio, Giorgio Merk, autore del brano. Rita tiene bene il palco, è energica come sempre, ma affaticata, sta a malapena dietro alle strofe troppo parlate. Inizio dance, poco rock, look da maschiaccio coerente con la sua immagine. Quella resilienza nel titolo mi aveva fatto ben sperare, ma il testo della canzone, piena di inglesismi inutili, non mi dice niente, per apostrofare il titolo.
Achille Lauro- “Me ne frego” GP: 8- Sconvolgente. Finalmente, tutto quello di cui Sanremo aveva bisogno. Se lo scorso anno aveva spinto col pezzo, quest’anno lo fa con look e performance. Istrione nato, boccata d’ossigeno. AS: 7.5- Rivelazione del Festival del 2019, Lauro De Marinis, torna sul palco dell’Ariston e vince tutto grazie all’outfit. Scende le scale a piedi nudi, coperto da un mantello color nero con decorazioni dorate per poi, durante l’esibizione, svestirsi e dare spazio a una tutina trasparente e luccente. Tatuaggi in mostra (uno tra tutti la scritta Familia che fa vero duro dal cuore tenero), accompagnato dal suo chitarrista Boss Doms, un Bowie attualizzato, Achille è un personaggio, tiene il palco con il suo aplomb, ricorda il mondo underground e omaggia il glam rock, certamente non cantando bene. Il testo è autoreferenziale, meno incisivo di Rolls Royce; con qualche citazione qua e là, prova a indagare la fragilità e i desideri nascosti umani.
Diodato- “Fai rumore” GP: 7.5- Al secondo ascolto diventa un pezzone. Parte piano, ma finisce per essere una cannonata (con una linea di basso spettacolare), nonostante una struttura abbastanza prevedibile. Il testo ha già vinto (giustamente) il Premio Lunezia come miglior testo, non mi stupirebbe se vincesse anche il premio della critica. Diodato perfetto dal punto di vista interpretativo: incisi presi alla grande, il falsetto risulta zoppicante al primo ascolto, dal secondo si “sistema” un po’. AS: 6.5- Delicato, intimo, profondo. Antonio Diodato, in un look total black e impermeabile molto Matrix, è bravo, scrive bene. Esecuzione non proprio perfetta vocalmente. Il testo è romantico, un’esortazione a superare il silenzio, l’incomunicabilità, a reagire. La struttura della canzone funziona, ma non è immediata. Da riascoltare.
Le Vibrazioni- “Dov’è” GP: 5.5- Sàrcina stupisce nel non stupire. Il risultato è un brano “sanremese”, talmente tanto da piazzarsi in vetta fra le preferenze della giuria demoscopica, salvato in parte dalla voce dello stesso Sàrcina, in ottima forma. Non convince del tutto, ma probabilmente il problema è anche mio, che avevo altre aspettative. AS: 7- In testa alla classifica della prima puntata, secondo la giuria demoscopica. La band di Francesco Sarcina fa leva sulla sua anima più dolce e romantica. Il testo del brano, tradotto attraverso il performer LIS Mauro Iandolo, non è banale, parla dell’importanza di sentirsi in pace con sé stessi, di cercare la gioia e la semplicità, della voglia di sorprendersi ancora; è un messaggio di speranza. La canzone, realizzata appositamente per Sanremo, come ammesso dalla band, è lineare nel suo crescendo, si apre nel ritornello e fa effetto. Eleganti e rock nel look, un po’ troppo melodici nella musica, Le Vibrazioni restano credibili e coerenti, ma non sorprendono
Anastasio- “Rosso di rabbia” GP: 9- Una cannonata. Sotto tutti i punti di vista. Un gran rock blues spinto, con un ritornello che entra subito in testa. Un testo che vomita fuori la sua rabbia, scompiglia tutto e sa tanto del De Andrè di “Storia di un impiegato”. Una interpretazione molto alla Rancore, soprattutto nella sua teatralità. Grande, grandissimo lavoro, chapeau. AS: 8- Un rapper nudo e crudo, vero, diretto, incazzato. Uno tra i brani più rock del Festival, che mischia rap e cantautorato. Anastasio si conferma autore di grandi testi. In quello in gara parla di una rabbia soffocata, inutile, che non esplode. Anastasio si definisce “una bomba a orologeria” e “un rivoluzionario provetto, corretto”. Sa stare sul palco, ha fame, è credibile, anche nel look, composto da jeans larghi e maglietta che ricorda una camicia di forza.
Elodie- “Andromeda” GP: 8- La sorpresa della serata. Una commistione perfetta fra elettronica ed interventi dell’orchestra in un pezzo dalla dinamica interessantissima e, finalmente, abbastanza imprevedibile, nel quale si sente forte lo zampino di Mahmood. Interpretato magistralmente da una Elodie decisamente in forma, molto erotica ed, al contempo, più algida della banchisa polare. Ma aveva anche dei difetti. Non mi stupirebbe una sua vittoria. AS: 7- Elodie è cresciuta, dimostrandosi molto più matura e neanche lontanamente paragonabile alla sua prima partecipazione, nel 2017. Si è evoluta, così come cambia e si evolve la sua canzone, molto riuscita. Probabilmente qualche problema tecnico mi ha fatto percepire un disequilibrio fra musica e voce, peccato. Tra sonorità dance, ritmi afro e un po’ di trap, in linea con le sue ultime hit, si percepiscono (un po’ troppo) forti e chiare la firma di Mahmood e la produzione di Dardust. Testo, anche qui, incentrato sulla figura femminile, quella di una donna forte ma fragile, sfrontata ma incerta. Elegante, sensuale ma non volgare, in un outfit che richiama lo stile greco dell’Andromeda del titolo.
Bugo& Morgan- “Sincero” GP: 8.5- Tastieroni bluvertigheggianti, atmosfere che vanno dal Battiato di “Inneres Auge” a sonorità decisamente più british. Loro due sono uno spettacolo, si divertono e fanno vedere tutta la passione che mettono nel fare il loro lavoro. Morgan sforza un po’ la voce, ma nulla di che, Bugo è più preciso, ma l’accoppiata vocale funziona. Canzone sincera per davvero, su un testo che non lesina passaggi un po’ più diretti, interpretata in modo ancora più sincero. Al momento l’unico pezzo che mi è rimasto in mente. AS: 7.5- Cristian Bugatti e Marco Castoldi sono amici di vecchia data e questo si percepisce nella performance sul palco, sono complici e si amalgamano alla perfezione. Il testo elenca le convenzioni sociali, i luoghi comuni, le raccomandazioni da tenere bene a mente. È davvero sincero, come loro e molto anni 90. Morgan un po’ affaticato vocalmente ma, nel complesso, in forma, fa emergere le sue doti da musicista. Il duo è molto british, nel look, negli strumenti e nel brano: “volevo fare il cantante delle canzoni inglesi così nessuno capiva che dicevo”, recita. La presenza del “fantauore” (così è stato definito qualche tempo fa Bugo), riporta al cantautorato indie di valore.
Alberto Urso- “Il sole ad est” GP: 1- Vecchio anche per la lirica, con quel vibrato che puzza di muffa. Stantìo anche nel testo. Certo, la voce c’è, e non avevamo dubbi. Ma avere una bella voce e cantare obbrobri del genere è come comprare ingredienti della miglior qualità e far scuocere la pasta. AS: 3- In una parola? Vecchio. È uscito quasi al termine della serata, perché altrimenti avrebbe fatto addormentare il pubblico. Antiquato nel look, nello stare sul palco, nel modo di cantare, piatto. Testo sanremese e banale.
Riki- “Lo sappiamo entrambi” GP: -1 (a scanso di equivoci, meno uno)- Inutile ed insulso. Quella specie di autotune è un cazzotto nelle orecchie, ho avuto la tentazione di fare il Van Gogh di turno. Il testo è insignificante. E lui è pure stonato. “Lo sappiamo entrambi” che fa cagare. AS: 3.5- Lo sappiamo tutti, Riki, che non sai cantare e neanche il tentativo di aggiustare l’intonazione con l’autotune riesce a salvarti. Anzi, personalmente, trovo quel pezzo della canzone orribile. Tremante e anonimo nel tenere il palco e nell’abbigliamento, meno artefatto del solito. Voto: 3.5.
Raphael Gualazzi- “Carioca” GP: 7.5- Gualazzi intitola il suo pezzo “Carioca” ma porta sul palco dell’Ariston un montuno cubano da stropicciarsi gli occhi. Grandissimo pezzo, sia nella ritmica, che nella melodia del cantato. Forse un po’ eccessivo il coro, ma tant’è. AS: 7.5- Torna al Festival per la quarta volta e lo fa con un look estroso. Tutto è convincente. Voce, ritmi, trombe, testo, ti portano in viaggio in Brasile, ma anche a Cuba. E pensare che Gualazzi in Sud America, non ci è mai stato. Suona il piano magistralmente, ha un ottimo controllo vocale e si presenta in una versione meno nostalgica del solito.
Articolo del
05/02/2020 -
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