Un diluvio di sovrapposizioni, di suoni e di incroci culturali ha caratterizzato la seconda volta a Roma dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, un collettivo musicale svizzero composto da dodici elementi, tutti giovani, tutti bravi.
Hanno presentato dal vivo brani tratti da ”Ventre Unique”, il loro sesto album e da “We Are Ok. But We Are Lost Anyway”, acclamato disco del 2021. Hanno aspettato con calma che il locale si riempisse, hanno accordato i loro strumenti sul palco (come fanno le vere orchestre) e hanno fatto partire il crescendo ritmico di “Be Patient”, una composizione che da sola spiega quali siano le caratteristiche principali della band: un minimalismo dadaista pronto però a dare spazio a soluzioni tipicamente post punk, affascinanti ed inquiete.
Sulla scena convivono pacificamente una sezione d’archi, una chitarra, un contrabbasso, una batteria, una tastiera, una marimba e una sezione di fiati, in una sorta di frastuono volutamente caotico ed elettrizzante. Ci sono piaciute molto esecuziuoni comne “Coagule”, “So Many Things”, “So We Are All” e la fantastica “ Beginning” , una sorta di danza tribale moderna, una specie di punk tropicale, molto coinvolgente e calibrato con grande maestria.
Tutti offrono il loro contributo vocale, anche se le principali “vocalist” del collettivo OTPMD sono tre : Liz Moscarola, Aby Vulliamy e Naomi Mabanda, ciascuna con le sue caratteristiche, dall’afro beat al punk, dal jazz al rhythm & blues, e si alternano sul palco in base alla successione dei brani composti da Vincent Bertholet, il compositore di tutti i brani proposti dall’orchestra.
Una vera e propria valanga sonora che ci arriva addosso senza filtri, un frastuono che talvolta ricorda quell’ “absolutely free” predicato da Frank Zappa nei primi anni Settanta, che esplora le infinite possibilità sonore offerte dai loro strumenti.
Sono molti i collegamenti con le grandi orchestre che si esibiscono sul territorio africano, prima di tutto nel nome: quel Tout Puissant infatti significa “Onnipotente” ed è il classico appellativo che caratterizza orchestre congolesi e del Bènin. Molto bella anche “Smiling Like A Flower”, un brano che affonda le sue radici nella musica tropicale e nel calypso, un pezzo carico di una energia contagiosa e che dal vivo risulta a dir poco euforico.
Le liriche dei brani contengono critiche feroci nei confronti della società occidentale, giunta ormai al punto più basso del suo continuo declino, ma poi - attraverso la musica e una innata carica punk - la band riesce a riprendersi, finanche a divertirsi, in un hellzapoppin musicale costituito da sana follia. Una baldoria punk jazz dance che termina però con un brano appena composto, scritto con il pensiero fisso alla sorte del popolo palestinese e che è stato intitolato “For Gaza With Love”
Articolo del
14/09/2025 -
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