Artista irregolare, Howe Gelb. Un eccentrico, attivo nel panorama musicale dall’inizio degli anni Ottanta con i Giant Sand (in origine, Giant Sandworms), tra gli artefici di quel “rock del deserto” che mescolava musica della tradizione statunitense, le sonorità abrasive del punk e suggestioni psichedeliche.
Aperto alla sperimentazione come esperienza collettiva di condivisione di passioni musicali già con il side project Band of Blacky Ranchette (primo LP pubblicato nel 1986), Gelb vanta una nutrita discografia (collaborazioni, “deviazioni”, ecc.) che da tempo rende complicato stargli dietro. Niente di paragonabile alla dissennata prolificità di Robert Pollard, certo, ma qualche disco di troppo l’ha inciso pure lui (come valutare, ad esempio, gli album in cui aveva cominciato a trastullarsi col piano?).
La singolarità di Gelb è protagonista della serata. Sul palco, come ben sa chi l’ha già visto in azione in questa veste intimista, un istrione che esegue canzoni più o meno in base all’estro del momento. Accompagnandosi col piano, poi col piano e la chitarra, infine con la chitarra, l’artista rilegge, reinterpreta, decostruisce brani alternando lampi blues, swing, ragtime, country, folk, melodie da crooner e ruvidezze distorte.
Si passa da una Shiver quasi lounge alla cover di I Always Get Lucky With You (George Jones) come l’avrebbe interpretata Tom Waits; dalle malinconiche Irresponsible Lovers e Storyteller (composta da Rainer Ptacek, compagno di Gelb nei Giant Sandworms, amico fraterno scomparso una decina di anni fa; che il musicista gli tributi ancora omaggi stringe il cuore) all’insolito brio di Wayfaring Stranger, celebre traditional eseguito con atmosfere tutt’altro che solari da numerosi artisti (da Johnny Cash all’ex Slint Dave Pajo); dalle allitterazioni e i giochi di parole di Stay Fast, tra interruzioni per spiegarne il contenuto e ripartenze, a una irriconoscibile All Along The Watchtower.
A colpire, più dei pezzi, sono la gigioneria e il carisma dell’esecutore. Un autore che non deve dimostrare più niente a nessuno, perché della sua creatività ha dato ampia prova in album brillanti quali Valley of Rain, Ballad of a Thin Line Man, Chore of Enchantment e Confluence.
Un’esibizione sfilacciata come quella offerta stasera si può apprezzare appieno, o detestare visceralmente. Prendere o lasciare. Gelb dichiara ai presenti che per non perdere la propria vitalità, la propria freschezza, la musica deve mantenersi in costante mutamento. Certo, qui il confine tra performance e cazzeggio è labile. Ma come non essere indulgenti con la penna che ha composto le opere sopracitate?
Articolo del
11/04/2019 -
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